di Maurizio Ferrari
Una consolidata giurisprudenza di Cassazione, in tema di rapporti tra art. 844 c.c. e leggi speciali sulle immissioni acustiche, afferma da decenni la regola secondo la quale l’immissione che superi i limiti di tollerabilità delle immissioni acustiche è per ciò stesso intollerabile anche alla luce dell’art. 844, mentre l’immissione che risulti tollerabile alla luce dei criteri dettati dalla legge speciale non è per ciò stesso tollerabile anche per l’art. 844[1]. A seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6 ter d.l. n. 208 del 2008, convertito, con modificazioni, in l. n. 13 del 2009, con cui si era inteso, nell’accertamento dell’intollerabilità delle immissioni acustiche a norma dell’art. 844, «far salve» in ogni caso le disposizioni di legge speciale, la giurisprudenza aveva precisato che la «differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità», ribadendo, sul piano dei rapporti tra norma codicistica e leggi di settore, la
perdurante attualità della massima tradizionale per la quale l’immissione che risulti tollerabile alla luce dei criteri dettati dalla legge speciale non è necessariamente tollerabile anche per l’art. 844 c.c.[2]. In costanza di tale assetto giurisprudenziale, è nuovamente intervenuto il legislatore, con l’art. 1, comma 746, l. 30 dicembre 2018 n. 145 (Legge di bilancio per il 2019), che ha aggiunto all’art. 6 ter d.l. 30 dicembre 2008 n. 208 il comma 1 bis, con il quale viene precisato che nell’accertare l’intollerabilità delle immissioni acustiche a norma dell’art. 844 e nel «far salve» le disposizioni di legge speciale come continua a prevedere il 1° comma, si devono applicare «i criteri di accettabilità del livello di rumore di cui alla l. 26 ottobre 1995 n. 447 e delle relative norme di attuazione».
Atteso che il comma di recente introdotto sembra costituire una mera specificazione dell’art. 1, 1° comma, e che il consolidato orientamento di legittimità, relativo a quest’ultima norma, ha registrato l’avallo della Corte costituzionale[3], è prevedibile che giurisprudenza e dottrina riprenderanno, anche in relazione al nuovo art. 6 ter, comma 1 bis, d.leg. 208/08, gli argomenti già sostenuti in precedenza, continuando a
distinguere la tutela civilistica (art. 844 c.c.) da quella amministrativa.
Tuttavia, qualora dovesse riconoscersi una portata innovativa alla norma, si porrebbero inevitabilmente questioni di diritto intertemporale, non avendo il legislatore previsto alcuna norma transitoria. Non può essere escluso, pertanto, che la giurisprudenza adotti, anche in tema di immissioni, tecniche interpretative tali da condurre all’applicazione della legge sopravvenuta quando più favorevole al presunto autore
dell’illecito[4]. Ciò esporrebbe a rischio il ius receptum, in giurisprudenza acquisito anche recentemente[5], secondo cui «in tema di immissioni acustiche, la differenziazione tra tutela civilistica e tutela amministrativa mantiene la sua attualità anche a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 6 ter d.l. n. 208 del 2008, convertito, con modificazioni, in l. n. 13 del 2009, al quale non può aprioristicamente attribuirsi una portata derogatoria e limitativa dell’art. 844 c.c., con l’effetto di escludere l’accertamento in
concreto del superamento del limite della normale tollerabilità, dovendo comunque ritenersi prevalente, alla luce di un’interpretazione costituzionalmente orientata, il soddisfacimento dell’interesse ad una
normale qualità della vita rispetto alle esigenze della produzione»[6].
È ormai ius receptum, oltre tutto, che l’art. 844 c.c. costituisce, con l’art. 2043 c.c., uno strumento sistematico di tutela del diritto alla salute, il cui rango costituzionale è sancito dall’art. 32 Cost., sicché il criterio differenziale dei +3 dBA, ormai costituente principio di diritto vivente dell’art. 844 c.c., consistente nella misurazione del valore acustico puntuale dell’immissione rumorosa rispetto al rumore di fondo (quello cioè esistente senza l’immissione stessa), fornisce la misura differenziale – fra il picco massimo dell’immissione ed il picco minimo del rumore di fondo ambientale – che assicura la massima approssimazione al modo con cui l’orecchio umano percepisce il rumore, e quindi il disturbo. All’opposto i metodi pubblicistici di misurazione considerano il differenziale non fra il picco massimo e quello minimo in termini puntuali, ma fra i livelli equivalenti di fondo e di immissione.
La differenza fra i due metodi è notevole rispetto all’esigenza di tutela rispetto al danno cui è esposta la salute del disturbato. Ed infatti, se si procede alla determinazione del valore differenziale ex art. 844 c.c. il
passaggio occasionale di un qualsiasi mezzo durante la rilevazione è irrilevante, dal momento che la differenza è considerata fra il picco massimo di valore del rumore contestato ed il picco minimo, così da
escludere la rilevanza del transito del motomezzo sul rumore di fondo. Se, invece, si procede con il valore differenziale equivalente proprio dei metodi pubblicistici di accettabilità, allora si avrà che dal picco del rumore invasivo, sottratto il rumore di fondo senza il rumore del ridetto veicolo, il rumore di fondo equivarrà ad un differenziale pari a zero. Con la prima misura, cioè, l’immissione risulta intollerabile, per come effettivamente viene percepita (+3 dBA); con la seconda no (+0 dBA)[7].
Va considerato che il rumore genera sull’apparato psicosomatico umano disturbi sempre più gravi mano a mano che aumentano il livello sonoro dell’immissione e la durata dell’esposizione da parte del disturbato[8]. L’applicazione dei parametri pubblicistici di accettabilità relativi dell’inquinamento acustico all’intollerabilità del rumore invasivo rispetto alla persona disturbata equivale a ridurre fortemente la tutela del bene costituzionale dell’integrità psicosomatica dell’individuo, attraverso il meccanismo artificioso dell’individuazione di un rumore di fondo più alto così da ridurre o annullare il valore differenziale.
La novella, formulando dei criteri conformativi dell’intollerabilità dell’immissione rumorosa, può comportare che se detti criteri sono peggiorativi rispetto a quello del valore differenziale di cui all’art. 844 c.c. secondo il diritto vivente, l’applicazione di essi ad un evento immissivo di rumore che ha già generato l’effetto dell’intollerabilità dell’immissione stessa, prima della entrata in vigore della novella, configurerebbe un’applicazione retroattiva (e peggiorativa) ad effetti già esauritisi anteriormente alla data del 1° gennaio 2019. Ma poiché la novella è di natura sostanziale, la sua applicazione soggiace al canone dell’art. 11 preleggi, a mente del quale la stessa non può incidere sugli effetti già esauriti di eventi anteriori alla sua data di entrata in vigore. Nel caso di immissione rumorosa, infatti, il momento consumativo dell’evento e degli effetti conseguenti è costituito dalla data di proposizione della domanda
giudiziale, con la conseguenza che l’applicazione della novella deve avvenire in riferimento agli eventi dedotti in una domanda proposta successivamente al 1° gennaio 2019. La norma novellata non ha soppresso la normale tollerabilità di cui all’art. 844 c.c.: se la normale tollerabilità deve esser accertata alla stregua dei criteri di accettabilità, ciò significa necessariamente che la stessa, intesa come istituto giuridico, non solo non è scomparsa, ma semmai è ribadita.
Diversamente, il legislatore avrebbe puramente e semplicemente abrogato la normale tollerabilità sostituendola con l’accettabilità. I due istituti, quindi, rimangono distinti, con un diverso ambito di applicazione: la normale tollerabilità quello suo proprio dell’art. 844 c.c. e l’accettabilità quello pubblicistico di cui alla legge del 1995 n. 447 e provvedimenti normativi dipendenti. I due ambiti parrebbero in realtà unificarsi con l’unicità dei criteri di accertamento, ma una interpretazione siffatta
urterebbe con la ragione emergente dalla semplice lettura dell’art. 6 ter novellato: il comma 1 bis è stato introdotto proprio al fine specificamente indicato, cioè «ai fini dell’attuazione del 1° comma». E’ chiaro che, poiché la legge del 1995 n. 447 e provvedimenti normativi dipendenti non concernono in alcun modo il rumore intrusivo da vicinato, regolato unicamente dall’art. 844 c.c., necessariamente questo ambito resta del tutto estraneo alla novella stessa. Ma essa neppure riguarda i casi di «malacostruzione», cioè le controversie fra acquirenti e costruttori-venditori di unità immobiliari edificate senza le dovute cautele tecniche.
In quest’ipotesi, si configura una responsabilità di natura contrattuale derivante dal contratto di compravendita, del tutto estranea alla norma di cui si discute. Oppure può trattarsi di una responsabilità
extracontrattuale ex art. 1669-2043 c.c. Ed anche una domanda di risarcimento dei danni in via specifica per attuare misure di contrasto dell’immissione, proposta ex art. 2058 c.c. è del tutto estranea all’ambito
di applicazione della novella. La novella invece ha rilevanza solo per le immissioni rumorose, ordinariamente intollerabili pur se accettabili, derivanti da infrastrutture pubbliche (strade, autostrade, ferrovie, ecc.), da attività economiche (pub, discoteche, ristoranti, attività d’intrattenimento, ecc.) o professionali. Attività ricomprese sia nel perimetro pubblicistico dei valori di accettabilità, sia di quello privatistico dell’intollerabilità. Quindi la novella non comporta una modifica del quadro normativo particolarmente rilevante.
Note
[1] Cfr. Cass. 17 gennaio 2018, n. 1025, Foro it., 2018, I, 907.
[2] Cfr. C. POLI, La responsabilità da immissioni rumorose, in Corti fiorentine, 2017, fasc. 1, 63, e G. D’ELIA, Le immissioni acustiche ex art. 844 c.c. e il diritto ad una normale qualità della vita, in <www.ilcaso.it>, 2017.
[3] V. sent. 24 marzo 2011, n. 103, Foro it., Rep. 2011, voce Proprietà, n. 30.
[4] Si veda l’orientamento, consolidato in tema di distanze tra costruzioni, per il quale va in ogni caso applicata la disciplina integrativa sopravvenuta quando più favorevole, perché le nuove norme finirebbero
con l’attrarre l’attività in origine illecita nell’ambito della liceità: Cass. 2 marzo 2007, n. 4980, Foro it., Rep. 2007, voce Edilizia e urbanistica, n. 504; 12 febbraio 2000, n. 1565, id., Rep. 2000, voce cit., n. 606; 28 novembre 1998, n. 12104, id., Rep. 1998, voce cit., n. 398; 13 aprile 1995, n. 4267, id., Rep. 1996, voce cit., n. 634; 20 aprile 1994, n. 3737, id., Rep. 1994, voce cit., n. 497; 4 agosto 1988, n. 4828, id., Rep. 1988, voce cit., n. 282.
[5] Cfr. Cass. 12 novembre 2018 n. 28893, al momento ancora inedita.
[6] Massima ufficiale elaborata dall’Ufficio del Massimario della Suprema Corte di Cassazione.
[7] Cfr.G. CAMPOLONGO, Il rumore del vicinato, Santarcangelo di Romagna, 2012, 43 ss.
[8] v. A. CONVERSO, I problemi del rumore – Le immissioni, Roma, 2012, 154 ss.