di Claudia Fava e Giuseppe Carratelli
Sommario
1. Il caso oggetto della sentenza del TAR Calabria1
2. I presupposti per l’azione2
3. Il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi ex art.116 c.p.a.3
Conclusioni
Nota a: Sentenza n.1125/17 Reg. Prov. Coll., Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, Catanzaro, II sez., 14/7/2017.
1) Il caso oggetto della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria
La sentenza che si annota ripercorre i presupposti per richiedere l’accesso agli atti in sede giurisdizionale, a seguito di rifiuto (espresso o tacito), con particolare riferimento agli atti posti in essere dall’agente della riscossione per conto delle pubbliche amministrazioni.-
Negli ultimi anni è notevolmente aumentato questo tipo di contenzioso, probabilmente dettato dalla sempre più sentita necessità dei contribuenti di conoscere gli atti posti a base delle procedure di riscossione in loro danno, anche al fine di verificare la regolarità formale del procedimento (ad esempio relativamente alla notifica degli atti prodromici), ovvero di verificare la fondatezza della pretesa del soggetto che ha emesso il ruolo, anche con riferimento a fatti estintivi del diritto fatto valere (ad esempio: intervenuta prescrizione, avvenuto pagamento, erronea individuazione del soggetto obbligato).-
Nel caso di specie, una persona fisica chiedeva l’accesso agli atti in possesso di Equitalia sud s.p.a., all’epoca dei fatti Agente della riscossione per la provincia di Cosenza (con decreto legge n. 193/2016, convertito con modificazioni dalla Legge n.225/2016, dal 1° luglio 2017 le società del gruppo Equitalia sono sciolte (tranne Equitalia Giustizia) e tutte le relative funzioni sono state spostate nel nuovo ente pubblico economico, Agenzia delle entrate-Riscossione.) relativi ad un procedimento di fermo amministrativo in suo danno.-
L’agente della riscossione, tuttavia, si limitava a rilasciare al contribuente solo l’estratto di ruolo, ed a seguito di tale condotta il contribuente adiva il TAR calabrese, che con la sentenza che qui si annota, nell’accogliere il ricorso e nel condannare l’agente della riscossione al rilascio degli atti richiesti, ha ribadito i requisiti necessari per ottenere in sede giurisdizionale gli atti in possesso dell’agente della riscossione.-
2. I presupposti per l’accesso agli atti in sede giurisdizionale
Nella sentenza in esame, correttamente, il Tribunale Amministrativo Regionale della Calabria, ha aderito ad un principio già ribadito da numerose sentenze della Suprema Corte.-
Ed invero, in ordine ai limiti intrinseci alla sindacabilità delle ragioni poste a fondamento dell’accesso (Consiglio di Stato, sez. V, 10 gennaio 2007, n. 55), l’interesse giuridicamente rilevante del soggetto che richiede l’accesso non solo non deve necessariamente consistere in un interesse legittimo o in un diritto soggettivo, dovendo solo essere giuridicamente tutelato purché non si tratti del generico ed indistinto interesse di ogni cittadino al buon andamento dell’attività amministrativa e che, accanto a tale interesse deve sussistere un rapporto di strumentalità tra tale interesse e la documentazione di cui si chiede l’ostensione.
Questo rapporto di strumentalità deve però essere inteso in senso ampio, ossia in modo che la documentazione richiesta deve essere mezzo utile per la difesa dell’interesse giuridicamente rilevante e non strumento di prova diretta della lesione di tale interesse.
Pertanto, l’interesse all’accesso ai documenti deve essere considerato in astratto, escludendo che, con riferimento al caso specifico, possa esservi spazio per apprezzamenti in ordine alla fondatezza o ammissibilità della domanda giudiziale proponibile.
La legittimazione all’accesso non può dunque essere valutata facendo riferimento alla legittimazione della pretesa sostanziale sottostante, ma ha consistenza autonoma, indifferente allo scopo ultimo per cui viene esercitata.
Giurisprudenza e dottrina concordano nel ritenere che :
a) il diritto alla trasparenza dell’azione amministrativa costituisce situazione attiva meritevole di autonoma protezione indipendentemente dalla pendenza e dall’oggetto di una controversia giurisdizionale e non è condizionata al necessario giudizio di ammissibilità e rilevanza cui è subordinata la positiva delibazione di istanze a finalità probatorie. Pertanto è rimesso al libero apprezzamento dell’interessato di avvalersi della tutela giurisdizionale prevista dall’art.25 della legge n.241 del 1990 ovvero di conseguire la conoscenza dell’atto nel diverso giudizio pendente tra le parti mediante la richiesta di esibizione istruttoria (ex plurimis, Cons. Stato, Sez. VI, 12 aprile 2000 n.2190). In tale ottica è stato altresì rilevato che il diritto di accesso non costituisce una pretesa meramente strumentale alla difesa in giudizio della situazione sottostante, essendo in realtà diretto al conseguimento di un autonomo bene della vita così che la domanda giudiziale tesa ad ottenere l’accesso ai documenti è indipendente non solo dalla sorte del processo principale nel quale venga fatta valere l’anzidetta situazione (Cons. Stato, sez. VI del 12 aprile 2005 n.1680) ma anche dall’eventuale infondatezza od inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti, potrebbe proporre (Cons. Stato, Sez. VI, 21 settembre 2006 n.5569);
b) la tutela del diritto all’informazione e alla conoscenza dei documenti della Pubblica Amministrazione assicurata dal Legislatore con le norme sull’accesso non può dilatarsi al punto da imporre alla P.A. un vero e proprio facere, che esula completamente dal concetto di accesso configurato dalla legge, consistente soltanto in un pati, ossia nel lasciare prendere visione ed al più in un facere meramente strumentale, vale a dire in quel minimo di attività materiale che occorre per estrarre i documenti indicati dal richiedente e metterli a sua disposizione (cfr. CDS Sezione V, 27 settembre 2004, n. 6326; 24 maggio 2004, n. 3364; 1° giugno1998, n. 718; 15 giugno 1998, n. 854; Sezione IV, 17 gennaio 2002, n. 231)
3. Il giudizio in materia di accesso ai documenti amministrativi ex art.116 c.p.a.
Com’è noto, l‘ordinamento contempla due distinte fattispecie che radicano la pretesa all’accesso ai documenti amministrativi: una prima ipotesi, disciplinata dall’art. 22, commi 1°, 2° e 3°, dall’art. 24, commi 3 e 7 e dall’art. 25 della legge 241/1990 – a cui si riferisce la prescrizione contenuta nell’art. 116, 1 comma del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 -, che concerne l’interesse, in generale, all’ostensione dei documenti amministrativi (interesse che ben può coincidere con la necessità di curare o difendere i propri interessi giuridici eventualmente anche in vista di futuri contenziosi da instaurare innanzi a qualsiasi ordine giurisdizionale); diversa ed autonoma è invece la seconda ipotesi, che si pone in rapporto di genere a specie, dell’actio ad exhibendum proposta, in quanto funzionale ad esigenze istruttorie connesse ad una causa in corso, ai sensi dell’art. 116, 2° comma del cpa e si riferisce, per il tenore letterale della disposizione da ultimo richiamata, ai soli giudizi pendenti davanti al giudice amministrativo ove è in corso la causa principale. È di palese evidenza che, in disparte il già rilevato disposto letterale del citato art. 116, 2° comma cpa, chiarissimo e non abbisognevole di ulteriori sforzi interpretativi, la limitazione della ammissibilità delle domande di accesso in corso di causa al giudice amministrativo ove è pendente la causa stessa si spiega, sul piano logico, con il fatto che il giudice amministrativo adito per l’accesso non potrebbe – al di fuori del proprio ambito giurisdizionale e funzionale – compiere la valutazione di inerenza della domanda al thema probandum che risulta propedeutica alla delibazione di fondatezza o meno della domanda stessa. (TAR Veneto, sez. I, 8 maggio 2014, n. 578).-
Il titolo II del libro IV del Codice del processo amministrativo, concernente l’ ”ottemperanza” e i “riti speciali”, è interamente dedicato al “Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi”, il titolo si compone, peraltro, del solo articolo 116, al quale, senza troppi sforzi di fantasia, è attribuita la stessa rubrica: “Rito in materia di accesso ai documenti amministrativi”.
L’articolo 116 non è particolarmente complesso sul piano formale e si compone di cinque brevi commi, dal contenuto piuttosto netto e sintetico.
Dunque, si tratta, ad una prima impressione, di poche e puntuali regole derogatorie rispetto alla normativa del “processo ordinario” di cognizione e al giudizio comune in camera di consiglio di cui all’articolo 87, nel quale è inserito sistematicamente il rito in materia di accesso.
Il codice conferma e consolida la precedente e originaria impostazione legislativa, che prevedeva già, per le controversie in materia di accesso ai documenti, un’apposita disciplina differenziata, racchiusa nell’articolo 25 della legge n. 241/1990, poi integrato, progressivamente, da ulteriori interventi correttivi.-
La scelta del Codice, quindi, è quella di conservare e rafforzare l’idea centrale della chiara specialità del rito, solo in parte attenuata, ora, dalla riconduzione ad uno schema generale di più ampio respiro, rappresentato dalla nuova categoria dei “procedimenti in camera di consiglio”, di cui all’articolo 87, dotata di una apposita disciplina.
Va notato che il Legislatore delegato non solo ha ritenuto opportuno mantenere la peculiarità del rito in materia di accesso, distinguendolo dal giudizio ordinario di primo grado e dal giudizio in camera di consiglio, ma ha anche stabilito di tenere ben salda la visibile differenziazione dagli altri processi speciali accelerati – riguardanti il silenzio, i contratti pubblici, determinate materie particolari – contemplati anche essi dallo stesso libro IV. Indubbiamente, la disciplina sostanziale dell’accesso e le peculiarità del relativo contenzioso, ampiamente diffuso nelle aule giudiziarie, riescono a giustificare, tuttora, una regolamentazione ad hoc, caratterizzata da una forte accelerazione dei tempi del giudizio e da una notevole semplificazione della procedura.
L’ambito di applicazione dell’articolo in esame appare ampio, ricomprendendo il rifiuto o il differimento dell’accesso, nonché l’opposizione all’estensione dei documenti.
A differenza di quanto si verifica per la disciplina in tema di silenzio della pubblica amministrazione, la tutela del diritto di accesso risulta più compiuta e organica, complice anche la sua localizzazione in una sola disposizione.
Il Codice non incide sulla disciplina giustiziale del diritto di accesso, ossia la tutela che viene garantita dal difensore civico e dalla commissione per l’accesso ai documenti amministrativi, in relazione agli atti delle amministrazioni statali e degli enti pubblici nazionali, ritenendo opportuno lasciarne la disciplina nella sede dell’articolo 25 della legge n. 241/1990 considerato il carattere essenzialmente “giustiziale” latu sensu e non processuale.
Il giudice amministrativo, però, conosce delle eventuali impugnazioni contro le determinazioni del difensore civico e della commissione per l’accesso secondo le regole previste dall’art. 116.
Si tratta di un’opzione perfettamente coerente con l’impostazione generale del codice, che evita accuratamente di recepire al proprio interno le disposizioni riguardanti i concorrenti mezzi di tutela non giurisdizionale, anche nelle parti in cui esse possano determinare riflessi sul processo, con riguardo alle condizioni e ai presupposti della tutela giurisdizionale (cfr. Vademecum sul ricorso per l’accesso agli atti redatto dall’Ordine degli Avvocati di Rovigo).
Va di certo osservato che, come già stabiliva l’art. 25, 5° co. L. 241/1990, le controversie in materia di accesso ai documenti amministrativi, insorgenti sia a tutela di chi si vede negato l’accesso, sia di colui che invece si oppone all’ostensione (illegittima) di un documento che lo riguarda, sono devolute alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, dunque nulla è mutato sotto questo profilo.
Tale indicazione non si ricava direttamente dall’art. 116, ma dall’art. 133, in tema di giurisdizione esclusiva, ove alla lett. a), n. 6, così è espressamente previsto. La scelta della giurisdizione esclusiva si spiega, da un lato, con la presenza di un fitto intreccio di posizioni di diritto soggettivo e di interesse legittimo, dall’altro per garantire un dialogo più intenso tra giudice e amministrazione in una materia tanto delicata.
Nel Codice, ai sensi dell’art. 87,2° co. lett. c), e non dell’art. 116, il rito assume le caratteristiche del rito camerale, con dimidiazione di tutti i termini processuali.
Ai sensi dell’art. 87,3° co. la camera di consiglio è fissata d’ufficio alla prima udienza utile successiva al trentesimo giorno decorrente dalla scadenza del termine per la costituzione delle parti intimate. Nella camera di consiglio sono uditi i difensori che ne facciano richiesta. Se erronea- mente si trattasse la questione in pubblica udienza non si registrerebbe nullità della sentenza.
L’articolo 116 conferma, quindi, l’impostazione originaria della legge n. 241/1990, secondo cui il rito dell’accesso conserva la propria autonomia e specialità, seppure riconducibile al nuovo paradigma, più ampio, dell’articolo 87, riferito ai procedimenti in camera di consiglio. A sua volta, la categoria generale dei procedimenti in camera di consiglio risulta meglio delimitata nei contenuti della disciplina comune applicabile. Sono così risolti molti dei dubbi emersi tra gli interpreti, con riguardo alla portata pratica della qualificazione del rito dell’accesso come procedimento in camera di consiglio.
In sostanza, secondo il disegno del codice, il rito dell’accesso si inserisce nel cerchio dei procedimenti in camera di consiglio e, poi, nella circonferenza più ampia del processo ordinario di primo grado. Quest’ultimo continua a rappresentare, in ogni caso, il fulcro della disciplina di ogni rito, anche speciale, in forza della regola del rinvio interno, contenuta nell’articolo 38, co. 1: “il processo amministrativo si svolge secondo le disposizioni del libro II che, se non espressamente derogate, si applicano anche alle impugnazioni e ai riti speciali”.
Il comma 1 dell’art. 116 c.p.a. Così recita: “Contro le determinazioni e contro il silenzio sulle istanze di accesso ai documenti amministrativi il ricorso è proposto entro trenta giorni dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio, mediante notificazione all’amministrazione e ad almeno un controinteressato. Si applica l’ articolo 49. Il termine per la proposizione di ricorsi incidentali o motivi aggiunti è di trenta giorni. “ Il ricorso, dunque, va instaurato entro trenta giorni decorrenti dalla conoscenza della determinazione impugnata o dalla formazione del silenzio-diniego, oppure dalla comunicazione dell’ esito dell’istanza o dalla formazione del silenzio-rigetto relativo all’ istanza di riesame delle decisioni rese dal difensore civico o dalla commissione per l’accesso in sede di riesame.
L’eventuale silenzio mantenuto dall’ autorità adita con la richiesta dell’accesso equivale ad un diniego tacito e non ad un rifiuto di provvedere. Il silenzio, in tale ipotesi, dunque, viene a connotarsi in senso provvedimentale, non silenzio-inadempimento.
Nello stesso termine di trenta giorni, oltre tutto, l’interessato può comunque attivare la tutela amministrativa dinanzi al difensore civico o alla commissione per l’accesso, impedendo la decadenza dalla stessa azione dinanzi al giudice amministrativo.
Si deve aggiungere, poi, che nell’esperienza concreta, il termine di trenta giorni risulta ormai percepito come sufficientemente ampio, eliminando, in radice, i possibili sospetti di violazione del diritto di difesa, o del principio eguaglianza, in relazione alla prospettata differenza dalle altre fattispecie, comprese quelle qualificate come “accelerate”.
In forza della previsione dell’articolo 3 della legge n. 241/1990, poi, devono essere indicati, in calce al provvedimento il termine e l’autorità cui proporre ricorso: l’eventuale omissione del necessario riferimento ai trema giorni dovrebbe, a parere di parte della dottrina, rilevare ai fini del riconoscimento dell’errore scusabile in capo al soggetto che abbia proposto il ricorso tardivamente, ma nei limiti temporali del sessantesimo giorno.
Da ultimo, non si deve dimenticare che l’interessato, a fronte del diniego espresso o tacito ha comunque la possibilità di reiterare la richiesta, per far valere la propria pretesa. In tali casi, l’amministrazione non ha l’obbligo di pronunciarsi sulla nuova istanza, se non sono indicate nuove ragioni a sostegno della richiesta. Pertanto il silenzio o l’atto meramente confermativo non ria- prono i termini per la proposizione del ricorso. Tuttavia, non si può escludere che, in concreto, l’amministrazione assuma una nuova determinazione motivata o basta su una nuova istruttoria. In tali eventualità, l’interessato potrebbe giovarsi di un nuovo termine per la notificazione del ricorso.
Il Codice contiene un espresso riferimento, nell’ambito della disciplina speciale del rito dell’accesso, alla decorrenza del termine, ricondotta, in primo luogo, alla “conoscenza” della determinazione impugnata, o alla formazione del silenzio. In questa parte, il codice introduce una novità testuale rispetto all’articolo 25, che si limitava a indicare solo la durata del termine di trenta giorni per la notificazione del ricorso, senza nulla precisare in ordine al dies a quo.-
Conclusioni
L’accesso agli atti della P.A. Costituisce uno dei principi fondamentali della Legge 241/1990, tuttavia, per come già riferito in premessa, il ricorso al Giudice Amministrativo ex art. 116 c.p.a. è notevolmente aumentato negli ultimi anni, sopratutto a causa della formazione del c.d. “silenzio-rifiuto”.-
Il ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale costituisce quindi un baluardo per i contribuenti, che potranno rivendicare, anche in sede giurisdizionale, il rispetto dei principi di trasparenza e di buon andamento della P.A., al fine di tutelare i propri diritti contro l’agente della riscossione e nei confronti delle amministrazioni che hanno emesso i relativi ruoli.
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Note
1 Scritto dalla Prof.ssa Claudia Fava.
2 Scritto dall’Avv. Giuseppe Carratelli.
3 Scritto dall’Avv. Giuseppe Carratelli.