di Marco Ferrari

  • Chua A., Il ruggito della Mamma Tigre, Sperling&Kupfer, 2012, 272 pp.

Le differenze culturali giocano un ruolo molto importante nelle scelte educative e nelle relazioni che si stabiliscono. Amy Chua, professoressa di diritto a Yale, statunitense di origine cinese, ha ottenuto successo internazionale con il libro Il ruggito della Mamma Tigre, inscrivibile nel genere della memorialistica, in cui racconta del suo modo di educare le figlie secondo i metodi tradizionali che lei stessa aveva seguito in gioventù. Un caso editoriale che ha suscitato interesse e polemiche, dove si espone la questione delle differenze tra l’educazione per come si è evoluta nei paesi occidentali, in particolare gli USA, e l’educazione tradizionale cinese, di matrice confuciana. L’autrice ha sottolineato che questo libro non vuole essere un “manuale per i genitori”, ma una riflessione familiare sul modo radicalmente diverso di intendere l’infanzia, preparare le generazioni future, considerare le capacità dei propri figli, tra le culture dominanti oggi nel mondo.

Il punto di partenza è la constatazione di come, in linea di massima, i genitori occidentali vedano l’educazione: essa si basa sul rispetto dell’individualità dei propri figli, sul riconoscimento dei loro desideri, sul supporto delle loro passioni, sull’incoraggiamento a perseguire i loro sogni e avere a disposizione tutto quanto serva per tentare di realizzarli, al fine di poter raggiungere la felicità. L’infanzia è considerata un periodo di spensieratezza, dove il gioco e la scoperta sono attività fondamentali per la crescita. Il risultato, secondo Chua, è una eccessiva indulgenza verso i difetti, i capricci e le voglie effimere, a scapito dell’impegno e del lavoro sulle capacità. Nell’educazione tradizionale cinese, al contrario, l’infanzia è vista come un periodo di “allenamento” e preparazione all’età adulta, quindi l’attività giornaliera è scandita dal duro lavoro, dal miglioramento costante delle proprie capacità personali, dal raggiungimento di obiettivi sempre più alti nella scuola, nello sport, nella musica e in ogni altro ambito ritenuto importante dai genitori. Aspettative altissime, quindi, e grande disciplina, che implica dedizione, sforzi e rinunce.*

Chua ha seguito con le sue figlie questo metodo, derivante dal confucianesimo, per averlo sperimentato lei stessa, educata da genitori immigrati a Boston da giovani, privi di mezzi di sostentamento. Ciò ha comportato diverse misure educative molto rigide, tra cui: niente uscite con le amiche, niente televisione o videogiochi, lezioni quotidiane di violino (raddoppiate nei fine settimana e nei periodi di vacanza, anche in viaggio), “tolleranza zero” per voti anche di poco inferiori al massimo, nessuna facoltà di scegliere le attività extracurriculari da intraprendere, nessuna indulgenza per errori, distrazioni o lamentele, nessun incoraggiamento per i risultati raggiunti (in quanto dovuti) e via dicendo. L’autrice riporta molti aneddoti su grandi litigi e grandi risultati; in particolare, il rapporto con la figlia minore si è rivelato sempre più difficile, fino alla sua aperta ribellione contro questo modo di fare, mentre lo stesso metodo aveva funzionato con la figlia maggiore.

Questo è un punto centrale, poiché evidenzia come la relazione educativa debba adattarsi alla diversità degli individui, anziché risolversi in una schematizzazione identica per tutti. La ribellione della figlia minore ha quindi messo in crisi la concezione educativa di Chua, che attraverso il racconto della vicenda ha tentato una sorta di “terapia” per comprendere cosa fosse andato per il verso sbagliato. Tuttavia, i traguardi raggiunti dalle figlie ora adulte e la consapevolezza di aver voluto il meglio per loro, sembrano aver ripagato gli anni di disciplina ferrea, che hanno logorato l’autrice stessa.

Personalmente ritengo che la prospettiva cinese sia razionale, ma troppo dura. L’impegno è fondamentale, la disciplina è importantissima per lo sviluppo personale, ed è verissimo che oggi noi siamo indulgenti fino allo smarrimento e all’irresponsabilità. Ma allo sforzo, alla dedizione e alle rinunce di una ferma educazione devono accompagnarsi anche la gratificazione, il riconoscimento e la soddisfazione, altrimenti si rischiano frustrazione, rivolta e disinteresse. Il problema di una rigidità eccessiva, poi, è la mancanza di creatività, di flessibilità mentale e di stimolo della curiosità, che invece possono e devono essere tasselli fondamentali di un pensiero critico e di uno sviluppo onnilaterale. Altrimenti si può finire a fare poche cose in maniera meccanica, magari raggiungendo la perfezione, ma senza personalità.

Ciò che invece trovo giusto è la preparazione alla vita adulta e l’idea che, in fondo, tutti siamo in grado di farcela, se ci impegniamo e lavoriamo su noi stessi e i nostri progetti; anche le persone più talentuose devono lavorare sodo per ottenere risultati. Solo chi ha problemi seri, reali, può avere difficoltà vere. Gli altri spesso cercano scuse e giustificazioni; ma se una mano si può dare una volta, bisogna poi incitare, chiamare al lavoro e alla responsabilità. Quindi, la questione è trovare l’equilibrio, educare all’impegno proprio per poter realizzare sogni e speranze, col duro lavoro e la giusta comprensione. Insomma, mamma tigre se si vuole, ma con un «tocco» di panda.

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*[A tal proposito, in occasione delle Olimpiadi di Pechino 2012 fecero scalpore i video degli allenamenti dei bambini cinesi, già instradati per essere i futuri atleti nazionali, in cui non sembrava esservi alcuna “pietà” per le sofferenze causate loro dai duri esercizi, imposti da allenatori molto severi. Lo scalpore fu forse dovuto più alla sensibilità del pubblico occidentale che a una oggettiva “crudeltà”, essendo considerata normale, in vari paesi asiatici, la ricerca del massimo sforzo per ottenere i migliori risultati possibili sul lungo termine. La stessa idea alla base di tutto questo è una visione differente della vita individuale: il percorso (di studi, di lavoro, di formazione) è già tracciato e l’allenamento per essere adulti segue una direzione precisa, per ottenere determinati risultati anziché altri.]

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