di Francesco Borgesano
Sommario
- Excursus storico
- Assegno divorzile: la funzione assistenzialistica
- Un silenzio durato 27 anni: Cass. n. 11504 del 10 maggio 2017
- La svolta delle Sezioni Unite n. 18287 dell’11 luglio 2018
- Le recenti conferme della Corte di Cassazione
- Chiosa conclusiva
1. Excursus storico
Il matrimonio è un’eredità del diritto romano. Tanto ciò è vero che una delle prime definizioni la si deve a Modestino: «Nuptiae sunt coniunctio maris et feminae et consortium omnis vitae, divini et humani iuris communicatio»1. Il matrimonio fa nascere in capo ai coniugi reciproci diritti e doveri.
L’unica causa di scioglimento del matrimonio prevista dal codice del 1942 era la morte di uno dei coniugi.
Nel 1954 fu presentato alla Camera un disegno di legge per l’istituzione del cd. “Piccolo divorzio”. Non era certo un’ipotesi esauriente in quanto applicabile solo a casi particolari tassativamente previsti l’applicazione risultava molto limitata2.
La proposta, neanche discussa, fu ripresentata quattro anni dopo in Senato, senza sortire anch’essa alcun effetto.
Questi sono sintomi di come l’Italia e l’opinione pubblica si stessero sensibilizzando al tema.
La grande riforma del 1970 ha portato all’implementazione della disciplina tramite la creazione dell’istituto del divorzio3. L’art. 3 della l. n. 898 del 1° dicembre 1970 contemplava i casi tassativamente previsti4 di divorzio come causa al fallimento coniugale. Il divorzio elimina il vincolo ma non cancella del tutto le conseguenze della precedente unione coniugale. Tale rimedio ha favorito l’autodeterminazione dei coniugi – nell’ottica che si è liberi di porre fine al matrimonio in qualsiasi momento lo si ritiene opportuno, al netto delle considerazioni morali che potrebbero accompagnare tale riflessione – portando alla luce, però, numerose criticità insite nella natura dell’animo umano quando si ha a che fare con interessi di natura patrimoniale5.
L’annoso problema della definizione dei rapporti economici tra i coniugi viene affrontato proprio in conseguenza dell’istituzione dell’assegno divorzile che nasce con l’intento di corrispondere, periodicamente, un contributo economico all’altro coniuge che non gode delle condizioni economiche tali per condurre una vita dignitosa6, al fine di realizzare un’equità economica tra gli ormai ex coniugi.
Per dirla meglio, la previsione legislativa si poneva come obiettivo quello di far sopravvivere anche dopo il matrimonio una sorta di solidarietà7 che realizzerebbe un progetto, ben più ambizioso, quello di creare una sostanziale unione tra la vita coniugale e quella che i coniugi si appresteranno a vivere dopo il divorzio.
2. Assegno divorzile: la funzione assistenzialistica
A partire dalla sentenza n. 11490 del 29 novembre 1990, all’assegno divorzile veniva attribuita ufficialmente una funzione esclusivamente assistenziale, a discapito di quella compensativa e risarcitoria8; esso era riconosciuto, infatti, nei casi in cui la parte debole, richiedente, non avesse i mezzi adeguati a mantenere, dopo il divorzio, un’autosufficienza economica. Questa pronuncia utilizza, al fine di realizzare un’utopica redistribuzione delle ricchezze, in ottica quasi marxista, il tenore di vita familiare in costanza di matrimonio.
In altri termini si sosteneva che il difetto dei «mezzi o redditi adeguati» tale per richiedere il rimedio dell’assegno divorzile, sussisteva allorquando il richiedente non avesse redditi propri che gli consentissero di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio.
L’attenzione deve essere focalizzata sull’espressione «tenore di vita» che ricopre il tertium comparationis del cd. giudizio di adeguatezza.
Se da un lato, la funzione assistenziale dell’assegno era già insita negli studiosi degli anni ’70 e, pertanto, diffusa anche nella giurisprudenza dei medesimi anni, dall’altro, ci fu la formalizzazione e la specificazione dell’istituto in questi termini. Questo poiché, ferma restando la natura assistenzialistica dell’assegno, il cambiamento di rotta è comunque in egual modo importante, nella misura in cui, si è provveduto a modificare i criteri i parametri: le condizioni dei coniugi, il reddito, la durata del matrimonio, le ragioni della separazione che comunque rilevano seppur solo ed esclusivamente in sede di determinazione del quantum debeatur 9.
L’interprete incentrava, dunque, la valutazione sul mantenere, per l’ex coniuge richiedente e dunque debole, lo stesso tenore di vita avuto in costanza di matrimonio10.
La giurisprudenza successiva si è allineata, in maniera pressoché unanime, alla posizione espressa dalle Sezioni Unite precisando che il «tenore di vita» da tenere in considerazione sia non soltanto quello effettivamente goduto in costanza di matrimonio, ma anche quello che poteva ragionevolmente fondarsi su aspettative maturate durante il matrimonio stesso.
Il tenore di vita si misura nella prassi applicativa, su alcuni elementi più o meno oggettivi quali: le spese quotidiane, la scelta della scuola dei figli, la scelta del luogo e del modo delle vacanze, gli acquisti di beni.
Si è formato, così, un diritto vivente estremamente stabile che ha quindi ottenuto l’autorevole avallo anche dalla Corte costituzionale11, in quanto, almeno teoricamente, la logica assistenzialistica combinata ai criteri utilizzati, fondati sul mantenimento del tenore di vita, riuscivano a realizzare astrattamente la ratio dell’assegno divorzile.
L’assegno divorzile, alla luce anche dei criteri sopra indicati – formalmente ossequiati dalla giurisprudenza di merito – veniva in concreto riconosciuto, almeno nella maggior parte dei casi, in una misura che costringeva il coniuge debole a penose restrizioni rispetto alle consolidate abitudini formatesi nel corso della vita coniugale.
In considerazione dell’esigenza di ripristinare «un certo equilibrio delle condizioni patrimoniali» degli ex coniugi, in concreto, il taglio interpretativo dato dalla Corte12 collideva, oltre che con l’evidenza pratica, anche con il dato normativo, secondo cui, il divorzio deve estinguere, pressoché totalmente, tutti i rapporti che sono venuti ad instaurarsi con il matrimonio.
Diventa necessario un intervento sulla parametrizzazione dell’assegno.
3. Un silenzio durato 27 anni: Cass. n. 11504 del 10 maggio 2017
Il diritto di famiglia italiano è stato, per molti decenni, dopo la citata introduzione del divorzio nel 1970, la grande riforma del 1975, e qualche pronuncia significativa della Corte, sostanzialmente immobile.
A dire il vero, ci fu un tentativo di contrastare l’inerzia e la compattezza generale, tentativo miseramente fallito del Tribunale di Firenze13 che provò a sollevare una questione di legittimità costituzionale14 ritenendo eccessiva la tutela del coniuge economicamente più debole. La Corte costituzionale ha agevolmente liquidato la questione dichiarandola infondata.
La nostra giurisprudenza, rendendosi conto che un tale immobilismo fosse ormai del tutto ingiustificato, si è data una scossa, dopo oltre un quarto di secolo, con riferimento ai criteri per il riconoscimento e la determinazione dell’assegno di divorzio.
La sentenza della I Sezione civile n. 11504 del 10 maggio 2017 è stata la prima voce fuori dal coro tesa a riconsiderare la funzione assistenziale in un’ottica estremamente restrittiva.
Il concetto di assistenza è stato inteso in senso molto limitato, come idoneo a giustificare esclusivamente un intervento finalizzato al raggiungimento dell’indipendenza economica, intesa quale mera autosufficienza, non potendo l’impegno richiesto all’ex coniuge spingersi oltre, dato che, dopo il divorzio, gli sposi ritornano persone singole15.
Da ciò deriva che, l’ex coniuge economicamente autosufficiente, nonostante sussista, nel caso specifico, una condizione economica di manifesta disparità, in nessun caso potrà richiedere ed ottenere l’assegno divorzile, in quanto, il parametro di riferimento diviene solo ed esclusivamente l’autosufficienza dei coniugi e non vengono valutati criteri come il contributo personale dato alla vita familiare né le condizioni personali dei coniugi stessi.
Pertanto, in questa ottica, lo scopo che persegue l’istituto dell’assegno cambia in maniera evidente: non sono le disparità tra i coniugi a dover essere colmate ma il fulcro della normativa diventa il perseguimento dell’autosufficienza dell’ex coniuge debole in un’ottica volta all’esasperazione della prospettiva assistenzialistica.
Questa pronuncia della Corte rivoluziona sì la nozione di adeguatezza dei mezzi ponendosi in contrasto con quello che era il precedente orientamento16 che utilizzava, come criterio dirimente il tenore di vita familiare in costanza di matrimonio ma, un tale cambiamento, continua a risultare inidoneo a perseguire i fini imposti dall’ordinamento giuridico.
La Corte17, decidendo una fattispecie analoga, ha utilizzato una diversa concettualizzazione, passando dall’ indipendenza – intesa come mera autosufficienza – all’affermare di perseguire “l’esistenza libera e dignitosa”18.
L’ orientamento del 2017, sottolinea come il precedente indirizzo giurisprudenziale avrebbe potuto essere applicato esclusivamente negli anni ’90 ma, oramai, era divenuto inattuale, in quanto, non collimava più con il contesto sociale ed economico di quel tempo
In questo contesto variegato si pongono numerose pronunce dei Tribunali19 di merito in aperto contrasto con le summenzionate sentenze.
Queste pronunce, seppur temporalmente molto vicine, chiaramente perseguono fini differenti, ponendo in risalto sfumature, neppure tanto velate, di una confusione insita negli operatori del diritto sul tema. L’incertezza nei Tribunali della Penisola regna sovrana.
4. La svolta delle Sezioni Unite n. 18287 dell’11 luglio 2018
Nel corso del 2017 e durante i primi mesi del 2018, la Prima Sezione della Cassazione ha più volte ribadito il proprio orientamento, riaffermando con forza la necessità di una rigida distinzione fra la fase relativa all’an e quella relativa al quantum ma finendo per riproporre una rilettura più flessibile del criterio dell’autosufficienza economica. La Corte di legittimità ha infatti affermato la necessità di adeguare il parametro dell’autosufficienza alle caratteristiche soggettive del coniuge richiedente l’assegno, alla sua “specifica individualità”20, al “contesto sociale in cui è inserito”21.
L’ assegno divorzile deve tener conto, in maniera ben distinta, e per questo ci si serve della figura dell’interprete, della specificità che ogni rapporto matrimoniale ha.
Dopo il caos degli anni precedenti, i tempi erano maturi per una svolta concreta tesa anche a ridefinire la natura stessa dell’assegno22.
Intervengono le Sezioni Unite in prospettiva modernizzante, abbandonando una volta per tutte la sola funzione assistenzialista, ampliando la prospettiva anche alla finalità compensativa e perequativa dell’assegno divorzile.
Rispetto alle precedenti impostazioni, seppur diverse tra loro, nessuno ha mai dubitato che l’ex coniuge impossibilitato a far fronte ai bisogni primari dell’esistenza, avesse diritto all’assegno di divorzio.
La questione che ha suscitato l’interesse anche della dottrina23 è sorta, invece, con riferimento ad un’ipotesi ben diversa: il caso in cui entrambi i coniugi fossero titolari di un reddito e di un patrimonio tali da poter vivere senza il sostegno economico dell’altro, tali da garantire loro l’”autosufficienza”. Sostanzialmente, la rottura del vincolo matrimoniale, nonostante le condizioni economiche di un coniuge siano migliori di quelle dell’altro, potrebbe non provocare la debolezza economica di alcuno degli ex coniugi. La domanda da porsi, di conseguenza, è se in una situazione del genere l’assegno di divorzio spetti anche all’ex coniuge comunque economicamente autosufficiente ma con un reddito ed una capienza patrimoniale inferiori rispetto a quelle dell’altro coniuge.
La Cassazione a Sezioni unite è intervenuta proprio per analizzare una situazione di questo tipo al fine di colmarne i dubbi interpretativi che ne possono scaturire.
La Corte ritiene che entrambe le funzioni, compensativa e perequativa, siano già ricomprese all’interno dell’univoca definizione di funzione assistenziale in quanto diretta applicazione del principio di solidarietà costituzionale24.
La sentenza Grilli25 poneva una netta linea di demarcazione fra la vita matrimoniale e lo scioglimento del matrimonio, il nuovo punto di vista delle Sezioni Unite è diverso, in ragione del fatto che si ritengono i princìpi di autodeterminazione e di responsabilità alla base sia della scelta matrimoniale, ma anche di tutta l’impostazione e la conduzione della vita durante il matrimonio, determinando una definizione dei ruoli tra i coniugi e fissando il contributo di ciascuno alla realizzazione della vita familiare. La funziona assistenziale, quindi, non basta più; al momento del divorzio si pone anche la necessità di compensare e riequilibrare le posizioni dei coniugi, frutto di scelte di vita comuni e condivise, considerando quindi, nello specifico, l’apporto non solo economico, che ciascuno di loro ha dato allo svolgimento della vita matrimoniale.
C’è da soffermare l’attenzione sul rafforzato potere e sul nuovo percorso che il giudice deve seguire nel riconoscimento e nella determinazione dell’assegno divorzile poiché, mai come ora, il suo ruolo diventa dirimente.
In primis, la valutazione deve essere fatta post divorzio tesa a ricercare uno squilibrio nelle condizioni economico-patrimoniali degli ex coniugi.
Se la risposta è negativa, nulla quaestio, la domanda di assegno deve essere rigettata. La questione viene risolta con semplicità in questo caso, perché a prevalere è la componente assistenziale, dell’istituto in esame. Il prevalere di questo aspetto impedisce di dare spazio ad esigenze eventualmente compensative che potrebbero sussistere anche a fronte di situazioni economiche equivalenti dei due ex coniugi.
Nell’ipotesi in cui, a fronte dell’analisi, il giudice rileva effettivamente lo squilibrio e non può essere colmato per ragioni oggettive, si aprirà una nuova fase, diversa anche in termini istruttori, nella quale, il giudice, non essendo sufficiente la mera disparità delle condizioni economiche e patrimoniali per il riconoscimento del diritto ad ottenere l’assegno, dovrà valutare se il summenzionato squilibrio “derivi dal sacrificio di aspettative professionali e reddituali fondate sull’assunzione di un ruolo consumato esclusivamente o prevalentemente all’interno della famiglia e dal conseguente contributo fattivo alla formazione del patrimonio comune e a quello dell’altro coniuge”26.
La sentenza in esame focalizza la sua attenzione sui poteri istruttori officiosi del giudice e sul loro potenziamento, sgravando di fatto parte richiedente dal dover provare lo squilibrio economico.
L’impostazione tripartita dell’assegno ha comportato inevitabilmente che al giudice venisse riconosciuto un ampio potere discrezionale sia con riferimento all’an debeatur ma soprattutto nella determinazione dell’ammontare dell’assegno; il giudice potrà, inoltre, ordinare alle parti di esibire ogni tipo di dichiarazione che vada a definire la consistenza del patrimonio e dei redditi posseduti27; svolta tale analisi, e dunque, solo dopo aver chiara la situazione patrimoniale e reddituale delle parti, provvederà a valutare la sussistenza dei requisiti dell’assegno ed eventualmente la sua quantificazione.
5. Le recenti conferme della Corte di Cassazione
Con il passare degli anni, le pronunce giurisprudenziali sono andate via via specificandosi andando a garantire certamente la certezza del diritto, in conseguenza di una disamina pressoché totale di gran parte delle fattispecie plausibili. È su questa linea di pensiero che si colloca l’ultima pronuncia della Corte che riprende il concetto di autosufficienza in deroga al più generale principio che ogni coniuge deve provvedere al suo mantenimento.
La specificità della pronuncia deve essere analizzata necessariamente alla luce del breve excursus operato in precedenza al fine di cogliere quale fosse l’interpretazione data dalla Corte all’istituto e come questa abbia influenzato la decisione in commento.
Assume rilevanza la funzione compensativo-perequativa dell’assegno, in quanto questo serve proprio a compensare il coniuge che ha deciso di sacrificare le sue possibilità di realizzazione professionale per dedicarsi ad accudire ed educare i figli.
Il caso in esame alla Cassazione fonda le proprie basi giuridiche proprio sull’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato.
Due coniugi hanno consensualmente deciso di separarsi. Nei patti omologati dal Tribunale era stato stabilito che il marito provvedesse al mantenimento esclusivo della prole. Lo stesso, doveva versare, inoltre, un assegno mensile di mantenimento nei confronti della moglie e provvedere altresì al pagamento di un canone di locazione.
A seguito della cessazione degli effetti del matrimonio, fu riconosciuto un cospicuo aumento dell’assegno divorzile a favore della ormai ex moglie, a seguito di richiesta di quest’ultima, anche in ragione dei ragguardevoli cespiti patrimoniali e dei redditi del marito.
Tale riconoscimento fa seguito ad un giudizio di appello – che in parte riforma una precedente pronuncia negativa di primo grado del Tribunale – nel quale la Corte territoriale adita, riconosce l’assegno divorzile all’ex moglie che nei 25 anni di durata della relazione familiare si è dedicata a crescere ed accudire i figli rendendo così possibile il notevole incremento patrimoniale dell’ex marito in costanza di matrimonio. Il riconoscimento dell’assegno in tale ottica segue l’orientamento consolidato28 realizzando la funzione assistenziale, compensativa e perequativa.
L’ex marito ricorre in Cassazione denunciando tra gli altri, il fatto che:” la Corte d’Appello avesse omesso di accertare l’inadeguatezza dei mezzi della moglie e l’impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, considerato che la stessa non aveva mai cercato attività lavorative, pur avendone la possibilità, non essendo sufficiente al fine del riconoscimento dell’assegno divorzile, l’attività di accudimento della prole”.
Nel dichiarare il ricorso inammissibile, condannando altresì alle spese il ricorrente, la Corte ribadisce il principio secondo cui ciascun coniuge, sciolto il vincolo coniugale, deve provvedere al proprio mantenimento. Le ipotesi in cui si riconoscerà l’assegno di divorzio, in deroga al principio pocanzi espresso, sono la non-autosufficienza del coniuge richiedente ed il caso in cui il matrimonio sia stato causa dello spostamento patrimoniale favorendo un ex coniuge nei confronti dell’altro.
Nella fattispecie de qua è proprio il matrimonio ad aver realizzato lo squilibrio patrimoniale. Cessato il vincolo e una volta che ognuno dei coniugi abbia riacquistato la propria individualità, tale spostamento risulta ingiustificato, ed è qui che interviene il giudice, attribuendo l’assegno divorzile nell’ottica di colmare il divario venutosi a creare tra i coniugi.
6. Una chiosa conclusiva
La conclusione di un dibattito, dai toni accesi, ed anche a fronte del carattere ultra-cinquantennale della controversia, è ben lontana dallo scorgersi. Certo è che numerosi sono e saranno gli spunti di riflessione alla luce delle sfaccettature che le pronunce della Cassazione di continuo offrono.
Per moltissimo tempo, come visto, l’assegno divorzile è stato considerato solo ed esclusivamente di natura assistenzialistica come relitto di una società e di una concezione fittizia di famiglia che nella prassi non esisteva più. Per tali ragioni l’assegno divorzile dopo lo scioglimento del vincolo matrimoniale non era più idoneo a perseguire l’equa redistribuzione dei beni tra i coniugi.
L’inquadramento dell’istituto dell’assegno, dalla sua creazione ad ora, come visto, ha subito delle trasformazioni che gli hanno consentito di sopravvivere al mutare delle condizioni socioeconomiche.
Le negatività dell’orientamento giurisprudenziale del 2017, tuttavia, sono da rinvenirsi nella circostanza che, le scelte dei coniugi, sebbene concordate, sono state poste ai margini, in quanto, secondo la Cassazione dell’epoca, in sede di scioglimento del matrimonio non potevano avere rilevanza se il coniuge più debole economicamente avrebbe goduto comunque dell’”autosufficienza”.
Una tale impostazione classificherebbe come un demerito quello di essere autosufficienti economicamente nel momento in cui tale autosufficienza cancellerebbe completamente la rilevanza della vita matrimoniale29 e, di conseguenza, tutti i sacrifici compiuti per il benessere familiare.
L’incompatibilità di tale impostazione è evidente anche alla luce dell’art. 2 cost. che implicherebbe una disparità di trattamento tra il coniuge non-autosufficiente al quale vengono riconosciuti tutti i sacrifici fatti durante la vita matrimoniale ed il coniuge autosufficiente.
L’ultimo orientamento oggi consolidato, quello delle Sezioni Unite del 2018 ha, invece, apportato grandi cambiamenti evidenziando che, nella nuova funzione composita dell’assegno divorzile, la rilevanza dei sacrifici fatti dal coniuge in costanza di matrimonio è assolutamente prevalente.
Tante sono le problematiche, molteplici i princìpi e le posizioni, e la Cassazione, con il passare del tempo, sta colmando tutti i possibili dubbi interpretativi. Da ultimo, il caso sottoposto all’attenzione della Corte, nel quale, apertis verbis, si è chiesto se anche il coniuge che durante la vita non ha avuto voglia di lavorare avesse diritto al riconoscimento dell’assegno30.
Altro aspetto determinante si ha con riferimento all’enfatizzazione del potere istruttorio del giudice.
È su questa base che potrebbe aprirsi la strada all’affermazione di un istituto come quello della disclosure che potrebbe obbligare le parti alla produzione di una dichiarazione sulla consistenza del proprio patrimonio e dei propri redditi andando a facilitare il ruolo del giudice nell’ effettuare eventuali confronti economici.
Note
1 Sul testo Aa. Vv., La definizione essenziale giuridica del matrimonio. Atti del colloquio romanistico-canonistico, in utrumque ius 5,1980, passim; J. Triantaphyllopoulos, Mélanges Deliyanninomos, 1991, p. 53; per la genuinità del testo in part. O. Robleda, Matrimonio, in Pontificia Univ. Gregoriana,1970, p.59.
2 Ci si riferisce a: matrimoni con scomparsi senza tracce, condannati a lunghe pene detentive, malati di mente, lunghe separazioni tra i coniugi, tentato omicidio del coniuge.
3 Mai qualificato con tale termine nella l. n. 898 del 1° dicembre 1970, che «conosce» solo lo «scioglimento» e la «cessazione degli effetti civili del matrimonio».
4 Lett. art. 3 l. n. 898 del 1° dicembre 1970: “Lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio può essere domandato da uno dei coniugi:
1) quando, dopo la celebrazione del matrimonio, l’altro coniuge è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, anche per fatti commessi in precedenza:
a) all’ergastolo ovvero ad una pena superiore ad anni quindici, anche con più sentenze, per uno o più delitti non colposi, esclusi i reati politici e quelli commessi per motivi di particolare valore morale e sociale;
b) a qualsiasi pena detentiva per il delitto di cui all’articolo 564 del codice penale e per uno dei delitti di cui agli articoli 519, 521, 523 e 524 del codice penale, ovvero per induzione, costrizione, sfruttamento o favoreggiamento della prostituzione;
c) a qualsiasi pena per omicidio volontario di un figlio ovvero per tentato omicidio a danno del coniuge o di un figlio;
d) a qualsiasi pena detentiva, con due o più condanne, per i delitti di cui all’articolo 582, quando ricorra la circostanza aggravante di cui al secondo comma dell’articolo 583, e agli articoli 570, 572 e 643 del codice penale, in danno del coniuge o di un figlio. Nelle ipotesi previste alla lettera d) il giudice competente a pronunciare lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio accerta, anche in considerazione del comportamento successivo del convenuto, la di lui inidoneità a mantenere o ricostituire la convivenza familiare”.
5 Diversamente dalle relazioni parentali, incise dalla riforma della materia, prima operata con la l. n. 54 del 2006, poi consolidata con la normativa del 2012-2013 (l. n. 219 del 2012 e d.lg. n. 154 del 2013).
6 Legge sul divorzio, art. 5, comma 6, (l. n. 898/1970).
7 v. G. Chiappetta, Famiglie e minori nella leale collaborazione tra le corti, Napoli, 2011, p. 103.
8 M. Rossi, Gli effetti di natura patrimoniale del divorzio riguardo ai coniugi, in M. Rossi, G. Cassano e G. Oberto, La famiglia in crisi, Padova, 2016, p. 375; Cass., 12 febbraio 2013, n. 3398; cfr. G. Ferrando, Diritto di famiglia, Bologna, 2015, p. 226, rileva come i tre criteri alla base delle tre funzioni: «erano intesi sia come criteri di attribuzione, sia come criteri di determinazione dell’assegno, nel senso che, ad esempio, la sola funzione compensativa poteva giustificare il riconoscimento dell’assegno a favore del coniuge, anche se questi fosse in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze di vita». Per una trattazione organica dell’assegno di divorzio, anche in chiave diacronica, cfr. L. Barbiera, Divorzio (assegno di), in Enc. dir., Treccani, 1989, XI, p. 100 ss., Id., I diritti patrimoniali dei separati e del divorzio, Bologna, 2001, p. 9 ss.
9 Parte della dottrina, tuttavia, ha evidenziato come la decisione della Cass., Sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490, dove pur confermando la struttura bifasica del giudizio di spettanza dell’assegno, abbia nondimeno conferito rilievo alla fase dell’an debeatur e, dunque, all’esigenza di ripristinare “un certo equilibrio delle condizioni patrimoniali dei coniugi”.
10 Cass., Sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490 edita, tra le tante, in Giust. civ., 1991, p. 2119, con nota di E. Bruschi, Le sezioni unite e l’assegno di divorzio; in Foro it., 1991, p. 67; con nota di V. Carbone, Urteildammerung: una decisione crepuscolare (sull’assegno di divorzio); in Giur. it., 1991, p. 536, con nota di G.M. Pellegrini, La determinazione dell’assegno di divorzio al vaglio delle Sezioni unite; in Nuova giur. civ. comm., 1991, p. 112, con nota di E. Quadri, Assegnazione e quantificazione dell’assegno di divorzio; in Giust. civ., 1991, p. 1223, con nota di A. Spadafora, L’orientamento delle sezioni unite in materia di assegno divorzile: considerazioni critiche.
11 In proposito, v. gli sviluppi di Corte cost., 22 luglio 1976, n. 181, in Foro it., 1976, I, p. 2336. E v. anche le considerazioni di Cass., Sez. un., 26 aprile 1974, n. 1194, in Foro it., 1974, I, p. 1335.
12 Cass., Sez. un., 29 novembre 1990, nn. 11489, 11490, 11491, 11492, in Foro it., 1991, I, p. 67, con note di E. Quadri e V. Carbone; in Giust. civ., 1990, I, p. 2789 con nota di A. Spadafora; in Nuova giur. civ. comm., 1991, I, p. 112 con nota di E. Quadri; in Giur. it., 1991, I, p. 536 con nota di G.M. Pellegrini; in Corr. giur., 1991, p. 305 con nota di A. Ceccherini.
13 Trib. Firenze, 22 marzo 2014, in Fam. dir., 2014, p. 687, con nota di E. al Mureden e di A. Morrone.
14 Nei confronti dell’art. 5 l. n. 898/1970 chiedendo che venisse dichiarato un contrasto con il dettato Costituzionale.
15 D. Cavallari, Attribuzione dell’assegno divorzile: evoluzione normativa e contrasti in giurisprudenza in attesa di un nuovo intervento delle Sezioni Unite, in www.magistraturaindipendente.it, 2018, p. 14.
16 Cass., Sez. un., 29 novembre 1990, n. 11490.
17 Cass., 10 maggio 2017, n. 11504.
18 Ad abundantiam, gli orientamenti della I Sezione civile n. 1652 del 2 marzo 1990 e n. 11504 del 10 maggio 2017 hanno portato la dottrina ad interrogarsi, legittimamente, su un ulteriore problema di non poco conto: la distinzione tra assegno divorzile e mantenimento legale in tema di separazione cfr. Sul punto C.M. Bianca, Natura e presupposti dell’assegno di divorzio: le sezioni unite della cassazione hanno deciso, in Riv. dir. civ., II, 1991, p. 539. Questo perché fondando l’assegno divorzile sull’indipendenza economica del coniuge richiedente sorgono numerose criticità, in quanto, il mantenimento della separazione è connesso al tenore di vita si creerebbe così una disparità di trattamento che porterebbe il coniuge economicamente più forte a cercare quanto prima di ottenere il divorzio così da ottenere condizioni economiche più favorevoli a sé. Questa disparità non può essere in alcun modo giustificata dal dato formalistico dell’estinzione del rapporto matrimoniale in seguito al divorzio. Sia consentito il rinvio a C.M. Bianca, Il nuovo orientamento in tema di assegno divorzile. Una storia incompiuta, in Foro it., 2017, I, p. 2716.
19 Tra queste va certamente annoverata la sentenza Trib. Udine, 1 giugno 2017, n. 513.
20 Così Cass., 26 gennaio 2018, n. 2043, in Fam. dir., 2018, p. 324, con nota di A. Figone: “Le variabili sono molte [e] numerose per un adeguamento il più possibile efficace alla situazione concreta. In tal senso, si potrebbe fin d’ora escludere pericolosi automatismi (ad es. multipli della pensione sociale o simili) che renderebbero autosufficienza o non autosufficienza identiche sempre a sé stesse ed uguali per tutti. Il coniuge richiedente l’assegno non può riguardarsi come una entità astratta, ma deve considerarsi come singola persona nella sua specifica individualità”.
21 Cass., 7 febbraio 2018, n. 3015, cit.: “[Il parametro dell’autosufficienza economica] va apprezzato con la necessaria elasticità e l’opportuna considerazione dei bisogni del richiedente l’assegno, considerato come persona singola e non come ex coniuge, ma pur sempre inserita nel contesto sociale. Per determinare la soglia dell’indipendenza economica occorrerà avere riguardo alle indicazioni provenienti, nel momento storico determinato, dalla coscienza collettiva e, dunque, né bloccata alla soglia della pura sopravvivenza né eccedente il livello della normalità, quale, nei casi singoli, da questa coscienza configurata e di cui il giudice deve farsi interprete, ad essa rapportando, senza fughe, le proprie scelte valutative, in un àmbito necessariamente duttile, ma non arbitrariamente dilatabile”.
22 C.M. Bianca, La famiglia, Milano, 2014, p. 288 ss.
23 Cfr. G. Bonilini e A. Natale, L’assegno post-matrimoniale, in Tratt. dir. fam., diretto da G. Bonilini, La separazione persona- le dei coniugi. Il divorzio. La rottura della convivenza more uxorio, Milano, 2016, III, p. 2887 ss.
24 Sia consentito il rinvio a G. Chiappetta, Famiglie e minori nella leale collaborazione tra le corti, cit., p. 87 ss.
25 Cass., 10 maggio 2017, n. 11504.
26 Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287.
27 Per una proposta in questo senso, si rinvia a C. Rimini, L’accertamento del reddito e del patrimonio delle parti nei giudizi di separazione e divorzio: proposta per un modello di disclosure, in Fam. Dir., 2011, p. 739.
28 Cass., Sez. un., 11 luglio 2018, n. 18287.
29 Ciò si poneva in contrasto anche con quanto affermato dalla Corte cost., 11 febbraio 2015, n. 11, in Fam. dir., 2015, p. 537 ss., con nota di E. al Mureden, Assegno divorzile, parametro del tenore di vita coniugale e principio di autoresponsabilità.
30 Cass., 10 febbraio 2023, n. 4200, la Corte sembra escludere che in questo caso l’assegno sia dovuto, specie se il coniuge debole sia ancora in grado di inserirsi nel mercato del lavoro grazie a capacità professionali valide e spendibili.
Il giudice, quindi, nel determinare l’assegno divorzile, deve indagare sulle cause della disparità economica fra le parti e motivare l’assegno non con riguardo alla semplice disparità economica, ma anche valutandone le cause.