di Anastasia Palma
SOMMARIO:
- La responsabilità da fatto illecito (art. 2043 Cod.civ)
- La condotta illecita del minore
- Decadenza o sospensione della responsabilità genitoriale
La responsabilità da fatto illecito (art. 2043 Cod.civ.)
La responsabilità c.d. aquiliana è disciplinata dall’articolo 2043 Cod.civ secondo cui “qualunque fatto doloso o colposo, che cagioni ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che l’ha commesso a risarcire il danno”. La norma sancisce il principio secondo cui sia considera illecito qualunque fatto umano capace di generare una lesione ad un interesse giuridicamente protetto dall’ordinamento giuridico. La ratio dell’istituto risiede nel precetto del neminem laedere, ossia nel dovere generale che incombe sui consociati di non ledere l’altrui sfera giuridica. Nell’ipotesi di lesione, l’ordinamento determina in capo all’autore del fatto la previsione di un’obbligazione di tipo risarcitorio nei confronti del danneggiato che in tal caso diventerà titolare del relativo diritto di credito. L’obbligazione risarcitoria risponde ai criteri del risarcimento del danno disciplinato dall’articolo 1223 Cod. civ. La norma, dettata con riferimento all’ipotesi di responsabilità contrattuale (articolo 1218 Cod.civ.) specifica che l’obbligazione risarcitoria derivante dall’inadempimento o dal ritardo dev’essere comprensiva tanto della perdita subita dal creditore (danno emergente) quanto del mancato guadagno (lucro cessante) e deve attenere alle conseguenze dirette ed immediate del fatto dannoso.
La responsabilità da fatto illecito sorge in presenza di alcuni elementi, ossia la condotta posta in essere dall’autore del fatto, il nesso di causalità, il profilo della colpevolezza. La condotta realizzata dall’autore del fatto può constare di un comportamento tanto commissivo quanto omissivo e dev’essere in grado di determinare il danno, ossia la lesione al bene giuridico tutelato.
È necessario altresì che sussista un nesso di causalità, ossia un collegamento tra la condotta realizzata dal danneggiante e l’evento lesivo del bene protetto. In relazione alla dimostrazione del nesso causale, si rileva che esso potrà essere ritenuto esistente sulla base della comune esperienza e del computo degli accadimenti.
Con riferimento al profilo della colpevolezza, si richiede che il fatto compiuto dal danneggiante diverga dal paradigma legale e che sia in grado di determinare la lesione all’altrui diritto. Sul punto vengono in rilievo i profili del dolo e della colpa. Nel primo rileva la volontà di determinare l’evento lesivo; nel secondo, viceversa, non v’è la volontà di determinare la lesione all’altrui bene giuridico, ma essa si verifica a causa di un comportamento sconsiderato del soggetto che agisce.
Sul piano probatorio la disciplina prevede che il relativo onere gravi sul danneggiato, cioè su colui che intende chiedere la riparazione del danno subito. La giurisprudenza ha elaborato una serie di eccezioni che si basano sulla previsione di alcune presunzioni: ad esempio, relativamente alla capacità di intendere e di volere, dovendo essere dimostrata dal danneggiato è presunta in capo al chi abbia raggiunto la maggiore età. Pertanto, se il danneggiante per andare esente da responsabilità, asserisca la propria incapacità di intendere e di volere, l’onere di tale dimostrazione incomberà su di lui.
In ordine alla funzione che il sistema giuridico assegna al risarcimento del danno si precisa che <<L’obbligo al risarcimento – sebbene non assuma il carattere di pena, come in altre epoche storiche- ha il senso di far rispondere in modo consistente del fatto dannoso estendendo la responsabilità anche per i danni non prevedibili al momento della commissione del fatto (2056 e 1224)>>.1
Dunque, nell’istituto si rintracciano tre distinte funzioni: preventiva, sanzionatoria e riparatoria. La funzione di prevenzione ha lo scopo di disincentivare la commissione di un fatto dannoso dell’altrui sfera giuridica mediante la previsione di una conseguenza che l’ordinamento individua nell’obbligazione risarcitoria; la funzione sanzionatoria risponde all’esigenza di fare in modo che si risponda in caso di commissione di un fatto illecito; la funzione riparatoria, invece, spiega i suoi effetti nella sfera giuridica del danneggiato attraverso la previsione di un ristoro per il pregiudizio subìto.
La condotta illecita del minore
Il reato compiuto dal minore può determinare, sul piano civilistico, la sua responsabilità diretta (art.2043 Cod.civ), così come la responsabilità indiretta di coloro che erano tenuti alla sua sorveglianza, oppure dei genitori, tutori, precettori e maestri d’arte (art. 2048 Cod. civ). La configurabilità della responsabilità diretta del minore richiede il positivo accertamento della sua capacità di intendere e di volere (art. 2046 Cod. civ.) non potendosi ritenere applicabile la presunzione legale di non imputabilità del minore infraquattordicenne che ha valenza normativa in sede penale. Il giudice di merito compirà l’accertamento della capacità di intendere e di volere accertando, nello specifico, la sua idoneità all’autodeterminazione e la consapevolezza della sua condotta sul mondo esterno.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23464 del 2010 ha affermato che l’imputabilità del minore è incompatibile con la responsabilità dei soggetti tenuti alla sorveglianza ex art .2047 Cod.civ. in quanto il presupposto di applicabilità di tale norma che disciplina l’ipotesi del danno cagionato da persona incapace consiste proprio nell’incapacità naturale dell’autore della condotta pregiudizievole. L’assenza di responsabilità del sorvegliante, tuttavia, non esclude la possibilità che il minore possa essere condannato, in considerazione delle condizioni economiche delle parti, al pagamento di un’equa indennità.
Quando il minore, in virtù della sua capacità di intendere e di volere, sia penalmente responsabile della sua condotta, alla propria responsabilità si somma quella dei soggetti di cui all’articolo 2048 Cod. civ., salvo che questi ultimi riescano a dimostrare, sul piano probatorio, di non aver potuto impedire il fatto.
Inoltre, l’illecito penale compiuto dal minore può determinare anche la concorrente responsabilità del datore di lavoro, così come previsto dall’articolo 2049 Cod.civ.
La giurisprudenza (Cass. Sez. Unite n. 6651 del 1982) in tema di al risarcimento del danno afferma che per il reato commesso dal minore, del quale debba rispondere il minore stesso o i soggetti indicati nelle norme citate (sorvegliante, genitori, tutori, precettori, preponenti) comprende anche il danno non patrimoniale ex art. 2059 Cod. civ. e non rileva che il fatto sia commesso dal minore, che, in quanto non imputabile, non possa essere ritenuto responsabile dal punto di vista penale, essendo, invece, sufficiente che il fatto sia astrattamente preveduto come reato e di conseguenza idoneo a ledere l’interesse tutelato dalla norma penale.
Dalla separazione dell’accertamento in sede civile rispetto alla sede penale ne discende che il giudizio civile prosegue autonomamente senza possibilità di sospensione (art. 295 c.p.c.), in attesa della definitività di quello penale. Parimenti, l’eventuale estinzione per qualsiasi causa del reato, che porti alla definizione del procedimento penale è ininfluente sulla valutazione compiuta dal giudice civile. 2
Decadenza o sospensione della responsabilità genitoriale
La più rilevante conseguenza sul piano civilistico della consumazione di reati ai danni di minori consiste nella decadenza o nella sospensione della responsabilità genitoriale così come previso dall’articolo 34 .c.p. secondo cui è La legge determina i casi nei quali la condanna importa la decadenza dalla responsabilità genitoriale. La condanna per delitti commessi con abuso della responsabilità genitoriale importa la sospensione dall’esercizio di essa per un periodo di tempo pari al doppio della pena inflitta.
L’articolo 316 Cod. civ., in combinato disposto con gli articoli 147 e 315 bis disciplina l’istituto della responsabilità genitoriale. Inoltre, una compiuta definizione di responsabilità genitoriale è ricavabile dal Regolamento 03/2201/CE e dalla Convenzione dell’Aja del 19 ottobre 1996, ratificata dall’Italia con la l. n. 101 del 2015. Nell’articolo 316 così come novellato, si è scelto (a differenza della precedente nozione di potestà genitoriale in esso contenuta) di eliminare qualsivoglia riferimento alla durata: la responsabilità genitoriale, per la sua componente economica, infatti, vincola i genitori anche successivamente al raggiungimento della maggiore età, fino a quando i figli non raggiungano l’indipendenza economica, così come previsto dagli articoli 337 ter e 337 septies del Codice civile.
Con riferimento agli altri aspetti concernenti la responsabilità genitoriale, si discute se, in virtù della solidarietà familiare, i genitori siano vincolati indefinitivamente. Nell’art. 316 è mutato l’angolo prospettico: non più <<soggezione>> del figlio ad un potere-dovere dei genitori, ma assunzione di un obbligo da parte dei genitori che dovranno esercitare la responsabilità genitoriale di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali, e delle aspirazioni del figlio secondo quanto previsto dal 315 bis”. Con riferimento alla residenza abituale del minore si fa riferimento agli articoli 316 e 317 cod. civ. da cui si evince la possibilità, per i genitori, di fissare, di comune accordo, la residenza del minore. Nella disposizione il principio della biogenitorialità è in linea con il reg. 03/2021/CE che include nella nozione di <<affidamento>> la scelta condivisa circa il luogo di residenza abituale del minore, si che ogni mutamento unilaterale da parte di un genitore della residenza abituale del minore deve reputarsi non conforme al dettato normativo, anche in considerazione del fenomeno delle sottrazioni internazionali di minori.
Con riferimento all’esercizio della responsabilità genitoriale, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 166 del 1988 ha affermato che i genitori hanno eguale responsabilità nei confronti della filiazione, anche nell’ipotesi in cui sia stata generata fuori dal matrimonio specificando che il fondamento dei diritti e dei doveri genitoriali nei riguardi della filiazione deriva dal rapporto procreativo e non dal matrimonio. Se i genitori sono conviventi, l’esercizio della potestà genitoriale, spetta, di regola, ad entrambi, così come previsto dagli articoli 316 e 317 Cod. civ.
L’articolo 320 Cod. civ. prevede, per i genitori, la possibilità di compiere disgiuntamente gli atti di ordinaria amministrazione. Non è necessario, pertanto, che i genitori assumano ogni decisione congiuntamente. Se si tratta di questioni di particolare rilevanza, l’articolo 316 Cod. civ. prevede la possibilità per ciascun genitore, senza formalità di rivolgersi al Tribunale ordinario competente ove il giudice, sentiti i genitori e il figlio (maggiore di anni dodici o di età inferiore se capaci di discernimento), fornirà soluzioni utili per il figlio e per l’unità familiare.
Nell’ottica della biogenitorialità, della quale il concetto di responsabilità genitoriale costituisce espressione, il testo novellato dell’art. 316, prevede la possibilità per ciascun genitore di rivolgersi al giudice in caso di contrasto su questioni di particolare importanza, senza tuttavia riprodurre il comma 4, che, attribuendo al padre la possibilità di adottare provvedimenti urgenti ed indifettibili in caso di pericolo di un grave pregiudizio per il figlio, privilegiava il genitore di un genere rispetto all’altro. Se il contrasto permane, il giudice conferirà il potere di decisione al genitore che reputa più idoneo a curare l’interesse del figlio. L’intervento del giudice è concepito in funzione essenzialmente conciliativa in termini tali da non annullare l’autonomia della famiglia.
Vi sono ipotesi nelle quali l’esercizio della potestà genitoriale sia attribuito ad un solo genitore, mentre la titolarità spetti comunque ad entrambi. I casi previsti dalla norma riguardano l’impedimento soggettivo o oggettivo dell’altro genitore, l’affidamento del figlio ad uno dei genitori a seguito di separazione, divorzio o annullamento del matrimonio nonché l’ipotesi della convivenza con il genitore che ha riconosciuto il figlio. Ciò implica che il genitore non esercente la responsabilità genitoriale ha diritto e il dovere di vigilare sull’educazione, istruzione e condizioni di vita del figlio nonché di concorrere alle decisioni di maggiore rilevanza che lo riguardano potendo rivolgersi al giudice, come previsto dall’articolo 337 quater Cod.civ, in caso di decisioni assunte e considerate dannose. “L’espletamento della funzione educativa implica l’esercizio di un potere sul minore adeguato al grado di maturità del minore e funzionale allo sviluppo della sua personalità. In questa prospettiva va inteso il diritto del genitore di avere presso la propria abitazione il minore o di assegnargli una determinata dimora (318). La sottrazione del minore alla responsabilità del genitore, anche con il suo consenso costituisce comunque reato (573 e 574 c.p.). Tali norme sono manifestazioni del diritto-dovere del genitore di avere cura dei figli minori sorvegliandoli nelle loro attività, che è a fondamento della responsabilità civile per i danni causati dia figli minori non emancipati con loro conviventi (2048).
Dalla responsabilità genitoriale deriva il potere del genitore di amministrare il patrimonio dei figli minori e di quelli nascituri, nonché di rappresentarli, ai sensi dell’articolo 320 Cod. civ., in tutti gli atti civili. La rappresentanza consta di un potere che è conferito direttamente dalla legge e riguarda gli atti patrimoniali, ad eccezione di quelli che devono essere necessariamente compiuti dall’interessato, quali ad esempio, le ipotesi di testamento e donazione, nonché quelli che il minore può compiere direttamente, previa autorizzazione. Le regole riguardanti la gestione del patrimonio differiscono a seconda che si tratti di atti di ordinaria o straordinaria amministrazione. Nel primo caso, ad eccezione dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento è prevista la possibilità, nonostante essi debbano essere decisi da entrambi i genitori, di compierli disgiuntamente, così come sancito dall’articolo 320 Cod. civ. (in caso vi sia disaccordo troverà applicazione la disciplina di cui all’articolo 316 Cod. civ. Nella seconda ipotesi (come ad esempio l’alienazione di beni, accettazione o rinunzia all’eredità), invece, si richiede la preventiva autorizzazione del giudice tutelare e che tali atti siano compiuti congiuntamente dai genitori. L’articolo 320 Cod. civ. disciplina l’ipotesi di eventuale conflitto di interesse tra i figli e il genitore che esercita la potestà genitoriale prevedendo, in tal caso, che la rappresentanza spetti all’altro genitore. Se il conflitto di interessi riguarda entrambi i genitori il giudice procederà alla nomina di un curatore speciale. Il Codice civile sancisce alcuni divieti, tra questi, vi è quello relativo all’acquisto, anche in via indiretta, da parte dei genitori, dei beni o dei diritti del figlio minore. I genitori hanno l’usufrutto sui beni del figlio fino alla maggiore età o all’emancipazione.
L’usufrutto legale si estende a tutti i beni, ad eccezione di quelli acquistati dal figlio con i propri redditi di lavoro, o beni lasciati o donati al figlio al fine di assicurargli una determinata carriera, arte o professione, nonché i beni accettati nell’interesse del figlio contro la volontà dei genitori. L’usufrutto, così come sancito dall’articolo 324 Cod. civ. ha un vincolo: i frutti, secondo la norma, sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli. L’articolo 326 Cod.civ. dispone che l’usufrutto legale non possa costituire oggetto di pegno, ipoteca o di esecuzione forzata da parte dei creditori. In caso di cattiva amministrazione, l’articolo 334 Cod.civ. prevede che il giudice possa rimuovere dalla gestione, uno o entrambi i genitori privandoli totalmente o parzialmente dell’usufrutto legale. L’articolo 320 Cod.civ. regola la durata dell’usufrutto legale stabilendo che essa cessi con il compimento della maggiore età del figlio o in virtù della sua emancipazione, con la decadenza o la sospensione della responsabilità genitoriale nonché con l’attribuzione del suo esercizio esclusivo con l’altro genitore. In base all’articolo 329 Cod. civ. , il genitore che abbia continuato a godere dei beni con il consenso del figlio convivente è tenuto a consegnare soltanto i frutti esistenti al tempo della domanda giudiziale.
Vi sono casi (330 Cod.civ) che determinano il venir meno della responsabilità genitoriale e sono: l’ipotesi di morte del figlio o del genitore o di condanne penali comminate al genitore e per effetto della pronunzia giudiziale di decadenza. Decade dalla responsabilità genitoriale il genitore che violi o trascuri i doveri ad essa connessi o abusi dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio. Gli articoli 330 e 342 ter Cod. civ. e la L. Un.Civ. prevedono che questi, oppure il genitore, la parte dell’unione civile o il conviventi che commetta i maltrattamenti o gli abusi possa essere allontanato dal giudice dalla residenza familiare. In base all’articolo 342 Cod.civ., cessate le ragioni che hanno determinato la decadenza e accertata l’assenza di rischi di pregiudizio per il figlio, il genitore possa essere reintegrato nella responsabilità. Altro effetto della decadenza della responsabilità è l’indegnità a succedere del genitore nei confronti del figlio, così come previsto dalla disposizione codicistica. In caso di decadenza il figlio non è tenuto agli alimenti (articolo 448 bis Cod.civ.). Infine, se la condotta di uno o entrambi i genitori sia inidonea a determinare la decadenza, ma sia in ogni caso dannosa per il figlio, il giudice potrà adottare ogni provvedimento (sempre revocabile) che giudichi conveniente e a seconda del caso concreto, fino a disporre l’allontanamento del figlio o del genitore o del convivente, responsabile di tali condotte, dalla residenza familiare (art. 333 Cod. civ.). 3
Note
1 P.Perlingieri , Manuale di diritto civile, Edizioni Scientifiche Italiane, 2021, p. 875
2 Cfr. A. Gordiano, R. Senigallia, Diritto civile minorile, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 2022
3 Cfr. P. Perlingieri, Manuale di Diritto Civile, Edizioni Scientifiche Italiane, 2021, pag. 1071 e ss